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Volare la nostra grande passione da sempre...

 

Amici aeromodellisti di Forlì, possiamo affermare che la nostra storia incomincia da qui. questa targa e' posta a destra dell'ingresso dello stadio "Morgagni" in viale Roma.

targa stadio

"Quel giorno due aerei, un Bleriot e un Demoiselle, pilotati rispettivamente dallo svizzero Emile Taddeoli e dal faentino Luigi Massari tentarono il decollo.

   La giornata ventosa ostacolò non poco i due aviatori, tanto e' vero che il Massari fracassò l'aereo al decollo, mentre Taddeoli dopo un primo balzo ritenuto soddisfacente anche dal pubblico presente, al secondo tentativo fallii anche lui danneggiando l'aereo. 


   Quel primo balzo del Bleriot non può essere ricordato soltanto come il primo volo di un "più pesante dell'aria" nella nostra città, ma deve essere considerato l'inizio della storia aeronautica di Forlì. 
infatti in quello stesso 1910, i forlivesi Alighiero Fabbri e Agenore Gamberini stavano già lavorando alla realizzazione di un loro prototipo che avrebbero poi collaudato due anni dopo. 


   Una storia che in un secolo ha visto la costruzione di un aeroporto (prima militare poi civile), la creazione di scuole di volo, istituti scolastici e universitari con la partecipazione di migliaia di persone in epoche diverse".

 

bleriot
Bleriot

 

Demoiselle

 

 

UNA TERMICA PER ASTORE

UNA PASSIONE, UN PENDIO, TANTO SOLE E IL VENTO IN FACCIA

(ARTICOLO DA T&G N. 17 DEL 1990)

   "Chiunque trovi questo modello sperimentale è pregato di consegnarlo prontamente alla più vicina stazione dei Carabinieri o di segnalarne il ritrovamento a...". L'avviso riportato su un talloncino, era tenacemente incollato a mezza prua delle fusoliere degli aeromodelli degli anni che furono. Si era potuto constatare che il definire "sperimentale" anche il più banale modello-scuola, nonchè il richiamo ai limiti della benemerita, sortivano un certo effetto su chi avesse trovato l'aeromodello smarrito durante il volo. Però non dava sempre il risultato desiderato.

   Il sistema più rassicurante, per la salvaguardia della propria creatura alata, che una volta in volo era alla mercè dei venti e delle bizzarrie delle termiche e non già degli impulsi dei radiocomandi di oggi, era di garantirsi la fedeltà di alcuni "schiavetti", gli apprendisti aeromodellisti comandati dagli anziani a qualsiasi compito, compreso quello di dover inseguire per chilometri e chilometri in bicicletta o a piedi, naso all'insù, gli aeromodelli più insubordinati fino a quando essi non fossero scesi da qualche parte.
Si facevano voti affinchè l'atterraggio avvenisse in un campo di erba medica: sarebbe stato soffice ed inoltre i modelli, dai colori vistosi, si sarebbero potuti scorgere da lontano.

   Temute, al contrario, erano le coltivazioni a grano turco. Oltre ai danni dell'impatto, ciò che dei modelli eventualmente restava scompariva alla vista per sempre. In ogni caso il recupero presentava grande pericolosità, dovendo fare i conti con l'atteggiamento non sempre benevolo dei contadini, per non dire dei loro cani di guardia.

   Degli anni che furono e del piccolo mondo aeromodellistico di allora ce ne parla a cuore aperto Antonio Recchia, impegnato a modo suo in questa attività da 53 anni. A modo suo perché, per sua ammissione e vanto, egli ha quasi sempre preferito far volare gli aeromodelli al di fuori delle competizioni. L'agonismo porta tensioni. Recchia invece è un romantico. Preferisce bearsi del volo in solitudine.

                                                         
   Ciò che ricordo, dopo tanti anni, fa parte della storia dell'aeromodellismo forlivese. Anche se in questa sede mi limiterò a qualche flash, sono certo di assicurarmi l'attenzione di chi c'era e un qualche interesse anche dei giovani praticanti di oggi, gli uni e gli altri legati dalla comune passione per il volo in generale e per l'aeromodellismo in particolare.

   Per me l'avventura comincia con l'incontro con l'indimenticabile Enzo Servadei , il primo tra tutti per abilità e umanità. Ne fui allievo fin dal 1937 quando, vicini di casa, presi a seguirlo puntualmente ogni volta che si recava nell'immediata periferia, proprio davanti all'attuale Villa Serena, la clinica di viale Salinatore.

   Il traffico pressoché inesistente gli consentiva di sperimentare i suoi modelli ad elastico o veleggiatori, ma le immancabili discussioni con i proprietari degli orti attigui dentro ai quali i modelli finivano troppo spesso, lo indussero a trasferirsi in Piazza d'Armi, l'area lungo l'attuale via Campo di Marte ora adibita ad impianti sportivi. La nuova sede non era esente da gravi inconvenienti, poiché gli alberi che circondavano il prato parevano calamitare, letteralmente, i poveri modelli, trattenendo ostinatamente tra di loro fronzuti rami.

   Modelli fatti in economia, ma per noi preziosissimi. Erano i tempi dell'autarchia e si lavorava con il tranciato di pioppo e il tutto tenuto insieme con abbondanza di caseina. Il rivestimento in carta velina, la stessa che si trovava all'interno delle scatole da scarpe. Ci si arrangiava. Si aveva poco o niente da spendere. Come guida teorica ci si affidava ad un settimanale - l'Aquilone - il cui costo pareva una enormità: 60 Centesimi.

   Ma ogni modello era veramente tutto "nostro". Noi eravamo a concepirlo, a disegnarne il progetto e a ricavarne i calcoli relativi; noi a scegliere accuratamente i profili e a procedere alla costruzione vera e propria. Costruzione, come già detto, realizzata con materiali di fortuna e comunque con quelli meno costosi. Soltanto le centine degli attacchi alari e degli impennaggi erano di compensato. Tutte le altre di tranciato di pioppo.

   Bordi d'entrata rivestiti in cartoncino e il resto della superficie alare e della fusoliera a traliccio ricoperto in carta. Il balsa ci era sconosciuto. Soltanto molti anni più tardi, al finire della guerra, avremmo fatto la conoscenza di questo legno straordinariamente leggero recuperandolo dagli zatteroni da sbarco delle truppe alleate, ormai ceduti ai rottamai di Gambettola.

   Compiuto con la maggiore accuratezza possibile tutto il lavoro di montaggio, rifinitura e centraggio, giungeva il momento di grande trepidazione, cioè quello del primo volo. Talvolta era anche l'ultimo. Tempi pionieristici, anche per i primi lanci in pendio, in quel di Massa e delle Martinelle, due località a pochi chilometri da Forlì. Faticosissime trasferte in bicicletta, su per una ripida e sconnessa strada polverosa. Poi, giù a capofitto tra dirupi e arbusti per recuperare il modello, le gambe sanguinanti per le scorticature e l'angoscia di non riuscire a trovarlo mai più. E al ritorno a casa, dover affrontare la severità di mio padre, che di aeromodellismo non voleva proprio saperne, ma di… mano pesante si.

   Negli anni 1938 e '39 l'incontro con gli altri aeromodellisti: Mario Bettini, Ezio Casadei, Ettore Stanghellini, Vezzali. Dove saranno oggi?

   Era entrato in attività, a Forlì, il Collegio Aeronautico e presto divennero popolari, tra noi, i nomi del Tenente pilota Bruno Voltan e del Maresciallo pilota Armando Pagliani, due valentissimi istruttori di aeromodellismo che organizzarono corsi anche presso l'Istituto Tecnico Industriale, cui partecipammo. Frattanto anche l'aeroporto si era finalmente aperto a noi, seppure limitatamente al settore dove operava la Runa, l'odierno Aero Club. Infatti imparammo subito con quali limitazioni.

   Poco mancò che ci beccassimo una denuncia dai Carabinieri aeroportuali, solo perché un modello di Bettini atterrò in zona definita militare. Ci salvò il provvidenziale intervento di un ufficiale del 30º stormo amico di Bettini. Nella primavera del '39 Servadei partì per il servizio militare di leva, in aeronautica. L'avrei rivisto soltanto molti anni dopo, giacché la guerra era alle porte. Prima di andarsene, però, mi fece dono di un suo veleggiatore di ben tre metri e settanta di apertura alare. Volava in modo meraviglioso, specialmente in pendio.

   Nel 1947 ritrovai volti vecchi e nuovi, nella sessione appena costituitasi nell'ambito della Polisportiva Edera: Mario Bettini, Azuceno Danesi, Walter Paganelli, Giorgio Roncoroni, Alfredo Celli, Sauro Tassinari, Sergio montanari, Piero Ceccarelli, Sauro Giardini, Marfo Bedei e tanti altri ancora. Fortunatamente non mancava Enzo Servadei, miracolosamente scampato ai rischi della guerra, motorista di un glorioso reparto caccia.

   Personalmente non vissi con l'intensità degli altri quel periodo di attività della sessione. Successivamente essa fu incorporata dal suo naturale tutore, l'Aero Club, e fino agli anni sessanta la sessione seppe cogliere grandissimi risultati agonistici. Poi, com'è naturale che sia, i connotati dei singoli praticanti mutarono. Tornai a riavvicinarmi a quel mondo più tardi, grazie anche all'amico Vittorio Ragazzini, attuale presidente del Gruppo Aeromodellistico, il quale volle talvolta concedermi il privilegio di far volare il mio aliante in apertura di manifestazioni di propaganda.

   Voglio ricordare un altro amico di oggi, al quale tutti, indistintamente, vecchi e giovani, dobbiamo tanta riconoscenza. Parlo del prof. Augusto Mambelli, direttore della scuola di aeromodellismo operante presso l'Associazione Arma Aeronautica nella Torre Numai. Per i suoi meriti l' Aero Club, tempo addietro, lo ha nominato socio onorario.
Vecchi e giovani. Mi trovo bene tra i giovani e tale mi sento anch'io mentre insegno loro le regole fondamentali del volo o le tecniche di pilotaggio con il radiocomando.

   Posseggo ancora qualche aeromodello e, tra questi, un veleggiatore di grande apertura alare (m. 3,50) che ho chiamato "Astore". Sono diventato nonno, ma sento ancora prepotentemente il richiamo dei pendii di Massa e delle Martinelle. Ora la strada per arrivarci è asfaltata e liscia e bastano pochi minuti di macchina per arrivarci. Un pendio, un aliante, tanto sole e vento in faccia. E quando vedo il mio "Astore" spiraleggiare come un falco sotto una nuvola, mi sento lassù con lui. Con la stessa passione e commozione dei giorni di quel lontano 1937.

Antonio Recchia

 


   Enzo Servadei in una foto scattata all'interno dell'aeroporto di Forlì. Dietro a lui un rudere di carro armato e altri mezzi militari. Sullo sfondo Bertinoro e Montemaggio ancora senza il caratteristico ripetitore.

 

 

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